Apro l'album dei ricordi a condividere due cose di quando allenavo, due momenti che mi hanno fatto capire - se mai ce ne fosse il bisogno - che gli attori veri sono sempre e soltanto i giocatori. Noi dobbiamo cercare di metterli in condizione di dare il meglio, e se non ce la facciamo, ecco che diventiamo protagonisti in negativo. Per il positivo, invece, tocca a loro.
Uno. La sconfitta a Gorizia. Quando contro uno strano pressing organizzato da un collega esagitato non ho avuto la lucidità di capire che la mia play di fiducia aveva bisogno di qualche minuto di riposo per raccapezzarsi davanti alla novità difensiva. Se me ne fossi accorto, lei avrebbe evitato una serie di palle perse e noi avremmo vinto la partita. Ma io ho perso concentrazione e non le ho dato l'opportunità di giocare come sapeva. Perché ho perso concentrazione? Perché mi sono smarrito a guardare le scene di isteria del collega, cercando di capire cosa ci trovasse di così vitale in una partita di ragazzine. Ho fatto male, perché se mi fossi limitato a guardare le mie giocatrici, avrei fatto il meglio per loro.
Quel giorno mi sarebbe servito un assistente.
Due. La vittoria a Brescia. Quando ho rimescolato quintetti e marcature cercando di recuperare una partita virtualmente persa, rischiando nel mettere in campo - alternanze obbligate da regolamenti giovanili - nel terzo e quarto periodo due squadre completamente squilibrate. Ho dato fiducia ad un quasi esordiente del quale avevo intravisto enormi miglioramenti negli ultimi due, tre allenamenti. Ho scelto di far marcare l'avversario migliore da un "mio" giocatore che solo potenzialmente poteva mostrarmi qualcosa di buono in difesa. E mi sono affidato ciecamente a chi aveva più talento per fare canestro.
Rischiando, abbiamo vinto una partita bellissima con una rimonta credo unica nella mia carriera. Sono stati i "miei" piccoli giocatori a dare quel qualcosa in più. Io sono riuscito a metterli in condizione di farlo.
Con poche indicazioni mirate e molta calma.
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