Alla fine di una Final Four di grandissima intensità e dall'imprevisto esito, mi dilungo a raccontare le mie impressioni.
Tra gli innumerevoli spunti di riflessione suggeriti dall'andamento delle tre partite che ho visto (la "finalina" non conta), ne scelgo due soltanto. Tattiche e campioni, appunto.
Tattiche. Non condivido e considero oggettivamente sbagliato l'utilizzo di quintetti tattici nei finali di partita. L'esempio: Jasikevicius tolto dal campo per farlo rifiatare quando sta giocando da dio e il cronometro segna gli ultimi passi. Poi succede che in difesa recuperi la palla, non puoi chiamare time-out e senza il tuo giocatore capo butti via l'azione. Questa cosa dei quintetti d'occasione la vedo fare spesso in NBA, neppure là mi piace, ma oltreoceano il giocatore può chiamare lui il time-out e permettere i cambi. Ma al di là delle differenze, quello che mi ha colpito (anche prima di questo epilogo di Eurolega) è leggere il linguaggio del corpo dello Jasikevicius di turno. In piedi davanti alla panchina, che saltella sul posto, con la chiara voglia di essere in campo e azzannare palla, avversari e - perché no - pure il proprio allenatore che lo ha chiamato fuori. Lo stesso posso scriverlo, nella stessa partita, per Kirilenko. Nel basket che conosco io, dove si finisce punto a punto il giocatore capo sta in campo, magari anche zoppo e boccheggiante, ma sta in campo. Punto. Non esistono giochini e magheggi.
Secondo me il Panathinaikos doveva vincerla.
Campioni. Così si chiamano quelli che oltre a segnare e fare tutto il resto alzano a misure imprevedibili il livello dei compagni. L'ho visto giocare molte volte, e non credo Teodosic sia (ancora o definitivamente?) di questo stampo. Faccio tutto io può andar bene qualche volta, tipo Serbia-Spagna ai Mondiali, ma può andare male molte altre. E ieri il campo è stato impietoso.
Ricordo il fastidio gridato da un allenatore del quale facevo l'assistente quando il pivottone della squadra si è preso un tiro da tre fuori contesto. E lo ha segnato. Lì per lì mi sono detto: perché fastidio? Risposta arrivata veloce: il pivottone ci riprova, e ci riprova. Ma non segna più. E a fronte di tre punti guadagnati, arrivano le azioni buttate. Alla luce di questo insegnamento mi chiedo: e se Teodosic non avesse segnato quei tre tiri nel secondo quarto? Avrebbe avuto meno considerazione di sé e gestito diversamente gli sciagurati ultimi minuti? Non ci sono prove, ma io sono convinto di sì. Perché il campione sa sempre cosa fare - fosse anche rinunciare all'ultimo tiro per darlo, poniamo, a John Paxson - il bravo giocatore invece può perdere l'orientamento, a seconda delle circostanze.
E poi, uno può scrivere pensare e ragionare tutto e il suo contrario, ma siamo qui a ricostruire il perché di un epilogo maturato per errori ai liberi e un tiro a sette decimi dalla fine. Il fatto è che in quelle condizioni di rischio il CSKA non si doveva trovare.